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Type de textesource
TitreVite de\' pittori antichi
AuteursDati, Carlo Roberto
Date de rédaction
Date de publication originale1667
Titre traduit
Auteurs de la traduction
Date de traduction
Date d'édition moderne ou de réédition1806
Editeur modernePelli, Giuseppe
Date de reprint

, « Postille alla vita di Parrasio », p. 69-72

XII. Imperciocché egli si pose diversi soprannomi, chiamandosi Abrodieto. Plin. 35. 10. Namque, et cognomina usurpavit, Habrodiaetum se appellando. E tale appunto si chiamò nell’iscrizione portata intera da Ateneo, della quale più avanti ἀβροδίαιτος, cioè, che vive delicatamente, che fa vita deliziosa. Che Parrasio fosse tale, è manifesto da quel che narrano Elian. l. 9 c. 11 var. stor. Aten. L. 12. E’ ben da avvertire che lo scherzo di quell’ingegnoso spirito, che scandalezzato di Parrasio, il quale per esser buon pittore, avesse ardimento d’appellarsi Abrodieto e amadore della Virtù, in questo Epigramma variò il principio ἀβροδίαιτος in ρἁβροδίαιτος, non si trova né pur accennato nella traduzione del Dalecampio, come notò e supplì l’eruditissimo Casaub. L. 15 c. 10 sopra Ateneo. Son però da scusare il Dalecampio e Natal Conti, i quali non potevano porre nelle loro versioni latine quel che non era nel testo greco, atteso che tanto nell’edizione d’Aldo del 1514, quanto in quella di Basilea del 1535, la quale adoperò il Dalecampio, manca tutto questo racconto, di poi aggiunto e inserito dagli antichi MSS. in quella del Commelino, unita di rincontro alla versione del Dalecampio, la quale se non è una volta da qualche dotto critico riscontrata, emendata, e supplita col testo greco, apparirà e sarà sempre in questo e in molti luoghi manchevole. Certo è che negli antichi MSS. d’Ateneo esser dovea quanto è stato supplito, poiché Eustatio sopra l’Odissea l. 8 a 1594 tocca la medesima cosa come cavata dalle Cene de’ Savii. E in due testi a penna d’Ateneo, ancorchè di non grande antichità, i quali si conservano nella famosa Libreria Fiorentina di S. Lorenzo, tutto compiutamente si legge. Ma per tornare alla voce ρἀβροδίαιτος, la quale verrebbe a significare un che vive di verga, detta da’Greci ρἅβδος, il medesimo Casaubono par che fondi tutto lo spirito di questa paranomasia, o com’altri dicono annominazione, sopra l’asticciuole de’ pennelli, e sopra quell’altre verghette che i Latini dissero viricula, masserizie pur da’ pittori. No per contraddire a letterato sì grande, ma per soggiugner qualche cosa di più in questo particulare, siami lecito proporre la mia opinione. Io non sarei lontano dal credere, che il motteggiatore di Parrasio alludesse più tosto a quella bacchetta, che adoprano i nostri pittori per appoggiare e tener salda la mano, della quale è molto verisimile che si valessero anche gli antichi, stante il grande e quasi necessario comodo che ne risulta. E ciò mi persuade un luogo singolarissimo di Plutarco nel fine del Discorso sopra coloro che tardi son gastigati da Dio: καὶ τι ῥαβδίον, ὤσπερ ζωγράφοι, διάπυρον προσάγειν. E gli porse una bacchetta da pittori infocata: le quali parole malamente possono intendersi de’ pennelli. E tanto basti d’avere con ogni riserbo accennato così alla sfuggita, per discorrerne altrove più distesamente, e come si dice, a posato animo, dove si tratterà degli arnesi pittoreschi. […]

XIII. Uom dilicato, e di virtude amante, ec. Veggasi questo epigramma presso Ateneo l. 12 a 543 e l. 15 a 687 e sopra esso il Casaubono nelle Animavvers. ἀβροδίαιτος veramente vale, che vive delicatamante, ma per comprender tutto in una parola, mi son preso sicurtà di tradurre dilicato, e poco sopra delizioso. Notisi in oltre che Parrasio si chiamò amadore della Virtù, e ne fu motteggiato a ragione, perocchè non dovea abusar questo titolo così nobile, adattandolo al pregio della pittura degna bensì di laude, ma che non può agguagliarsi a quella vera sapienza, che rende l’uomo in terra quasi celeste. Questo medesimo errore commetton coloro, i quali nella nostra lingua appellano virtuosi i musici, i pittori, e altrettali uomini eccellenti nell’arti loro, quando sì gloriosa demonimazione non si conviene né anche a’ filosofi se veramente non son giusti forti e prudenti.

XIV. Io dirò tal, che non sarà ch’il creda, ec. Leggesi questa inscrizione in Aten. l. 12. E in Aristide t. 3. 658 nell’Oraz. Περί τοῦ Παραφθέγματος. E qualche parte di essa appresso Eustatio sopra il l. 8 dell’Odiss. A 1593. Le versioni latine di Natal Conti, del Dalecampio, e del Cantero tutte svariano, e s’io non m’inganno, s’allontanano dal vero sentimento di chi fece questi versi. Io non voglio qui registrare una lunga diceria, rendendo ragione del mio volgarizzamento, ma rimettermi in primo luogo a qual che osserva il Casaub. l. 12. c. 11. sopra Ateneo, e secondariamente al giudicio degli eruditi e discreti lettori, i quali ben avvertiranno le difficoltà ch’io posso avere incontrate, e quel che m’abbia mosso ad accettare più una lezione, che un’altra, e quando ciò non mi sia accaduto felicemente, compatiranno anche me. Di questo epigramma al sicuro intese Plin. l. 35. 10 dicendo che Parrasio si nominò, Alijs verbis principem artis, et eam a se consummatam.

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, « Vita d’Apelle » , p. 97

[[4:suit Apelle Vénus]] : Alcuni asseriscono che il naturale di questa dea fosse cavato da Campaspe ; altri da Frine famosissima meretrice , la quale per ordinario non mai lasciandosi vedere ignuda, nel gran concorso, che si faceva presso ad Eleusi per le feste di Nettuno, deposte le vestimenta, e sparsi i capelli a vista di tutti sen’ entrava nel mare. [[4:suite Apelle Vénus inachevée]]

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